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TRENT'ANNI. UNA VITA FA

MOSTRA FOTOGRAFICA
allestita nell'aprile 2005 presso
C.S.A. LEONCAVALLO DI MILANO

introduzione di Roberto Mutti

La fotografia italiana fra la seconda metà degli anni Sessanta e per tutti gli anni Settanta si allarga a un interesse che non si limita agli addetti ai lavori. Nel dopoguerra, usciti dal limbo autarchico in cui il regime fascista aveva relegato il paese, i fotoamatori avevano dibattuto dividendosi fra quanti legavano la fotografia a una neutralità artistica di stampo crociano e quanti la vedevano “impegnata” a descrivere la realtà con un taglio sociale. Lontani da ogni teorizzazione, invece, i fotografi professionisti si erano gettati sul reportage legandosi alle molte riviste nate per un pubblico sempre più interessato: “Il Mondo” di Mario Pannunzio impaginava dando alla fotografia un ruolo principe, quello stesso che avrebbe poi utilizzato “L’Espresso” di Eugenio Scalfari, “Tempo”, “L’Europeo” e “Epoca” (che Mondadori aveva voluto far somigliare all’americano “Life” fin nei caratteri della testata) proponevano reportage di ampio respiro. Da quella fucina nacquero autori importanti – da Gianni Berengo Gardin a Fulvio Roiter, da Uliano Lucas a Ferdinando Scianna, da Carla Cerati a Luciano D’Alessandro, da Mario De Biasi a Tazio Secchiaroli, da Franco Pinna a Giorgio Lotti – che seguivano le tracce lasciate dai primi grandi fotografi come Giancolombo, Federico Patellani, Tullio Farabola, Fedele Toscani, Tino Petrelli che avevano caratterizzato il reportage dell’immediato dopoguerra.
La guerra del Vietnam fu l’occasione per far comprendere, però, che la fotografia poteva essere non solo uno strumento di indagine sulla realtà, ma anche di vera e propria lotta: se ne accorsero i vertici militari statunitensi che, in un primo tempo ben disposti a lasciare spazio ai fotografi nella convinzione che condividessero la loro ideologia di “giusta guerra”, si accorsero poi che i fotografi contribuivano a far conoscere al mondo i delitti e i massacri di cui l’evoluta società occidentale si stava macchiando. Fu così che la passione per la fotografia, soprattutto quella in bianconero che ognuno poteva stampare a casa propria, si diffuse a macchia d’olio: chi poteva si comprava le costose e meravigliose Nikon F usate dai reporter di guerra, chi aveva pochi soldi in tasca ripiegava sulle Zenit, pesanti ma efficienti fotocamere russe. Questa la ragione per cui gli anni delle lotte iniziate verso la fine degli anni Sessanta (un po’ prima del canonico ‘68) furono oggetto di una documentazione ampia e minuziosa: la nascita di molte testate militanti aumentò la richiesta di immagini fotografiche e molti iniziarono in tal modo la loro carriera professionale.
Una mostra come quella qui presentata non serve solo a raccontare le lotte e il coraggio di quegli anni, ma anche lo sviluppo di una forma espressiva che stava conoscendo una stagione di interesse di massa. Non a caso, infatti, sono qui accostate le immagini dei molti autori che lavoravano con spirito militante e quelle di alcuni fotografi che erano già grandi – Silvestre Loconsolo, Tano D’Amico, Tranquillo Casiraghi, Carla Cerati, Giovanni Giovannetti, Alberto Roveri, Aldo Bonasia, Carlo Cerchioli – che si mostravano capaci di cogliere lo spirito di quanto accadeva con grande acume. Come in altri campi, questo era il segno della saldatura fra una élite intellettuale e un grande movimento di massa, saldatura grazie alla quale si sono scritte pagine importanti utili non solo a ricostruire storicamente quanto avvenuto ma anche a riflettere con intelligenza sull’intensità di quegli anni belli e tragici.

Roberto Mutti