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GIOVANNI ARDIZZONE |
DOCUMENTI - I RICORDI |
M'han dit che incö la pulisia a l'ha cupà un giuvin ne la via; sarà stà, m'han dit, vers i sett ur a un cumisi dei lauradur. Giovanni Ardizzone l'era el so nom, de mesté stüdent üniversitari, comunista, amis dei proletari: a l'han cupà visin al noster Domm. E i giurnai de tüta la tera diseven: Castro, Kennedy e Krusciòv; e lü 'l vusava: «Si alla pace e no alla guerra!» e cun la pace in buca a l'è mort. In via Grossi i pulé cui manganell, vegnü da Padova, specialisà in dimustrasiun, han tacà cunt i gipp un carusel e cunt i röd han schiscià l'Ardissun. A la gent gh'è andà inséma la vista, per la mort del giuvin stüdent e pien de rabia: «Pulé fascista – vusaven - mascalsun e delinquent». E i giurnai de l'ultima edisiun a disen tücc: «Un giovane studente, e incö una gran dimustrasiun, è morto per fatale incidente, è morto per fatale incidente, è morto per fatale incidente». Così in una ballata in dialetto milanese il cantautore Ivan Della Mea nel 1963 raccontava l’uccisione dello studente Giovanni Ardizzone. Il “giuvin stüdent” aveva 21 anni, era il figlio unico del farmacista di Castano Primo - una cittadina alle porte di Milano -, frequentava il secondo anno della facoltà di Medicina ed era un militante comunista.
La “crisi dei missili” a Cuba era al culmine e in quel piovoso sabato d’autunno di 48 anni fa la Camera del Lavoro di Milano aveva indetto, come in tante altre città italiane, uno sciopero generale - allora si lavorava anche al sabato - per la pace, in solidarietà con il popolo cubano. In programma c’era una manifestazione con comizio nel centro della città. In prima fila, come sempre, Giovanni Ardizzone con i suoi compagni. Scoppia un finimondo di cariche e pestaggi, mentre il rombo dei motori delle jeep diventa la colonna sonora di un film che negli anni successivi altri cortei impareranno a conoscere e temere. Impreparati all'attacco a freddo i manifestanti tentano di reagire difendendosi come possono e con quello che trovano. Pietre e bastoni contro jeep e moschetti: il rapporto di forza è impari. I caroselli delle camionette li costringono a rifugiarsi nelle vie adiacenti inseguiti dai poliziotti che si scatenano in una vera e propria caccia all'uomo. Dove gli spazi sono più ampi le jeep si lanciano a folle velocità contro i manifestanti senza fermarsi davanti a nulla. Pare proprio cerchino di uccidere. E purtroppo ci riescono. Giovanni Ardizzone è investito e travolto in via Mengoni, tra la Loggia dei Mercanti e il Duomo. Rimane lì sul selciato con il giubbotto di fustagno marrone lacerato, il volto sporco di terra e gli occhi sbarrati. Più in là i resti di quella che era stata una bicicletta, ridotta in due tronconi informi e contorti. Ma le cariche omicide non si fermano. Altre due vittime restano al suolo: sono il muratore Nicola Giardino di 38 anni e l’operaio Luigi Scalmana, di 57.
La notizia dell'assassinio di Ardizzone fa il giro della città. Nella notte tra sabato e domenica gruppi di operai, studenti e semplici cittadini arrivano alla spicciolata nel luogo dove è stato ucciso, si siedono per terra e danno vita a una silenziosa veglia. Nella notte tra lunedì e martedì la foto del giovane caduto viene collocata nel Sacrario dedicato ai Caduti della Resistenza alla Loggia dei Mercanti, dove continua il pellegrinaggio della popolazione milanese e lombarda.
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