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DOCUMENTI - GLI INTERVENTI

Palestina: l’ultimo frutto della guerra permanente di Bush in Medio Oriente

Il dramma che la società palestinese sta consumando nella Striscia di Gaza e nei territori occupati di Palestina è un altro, terribile risultato, della guerra al terrorismo scatenata da Bush in Medio Oriente. Non è solo quello naturalmente, c’è l’occupazione israeliana innanzitutto, ci sono gli errori della classe dirigente palestinese e le pesanti responsabilità di un’Europa imbelle ma la linfa vitale e potente che ha indirizzato gli avvenimenti è stata senza dubbio la condizione di scontro generale imposto alla regione con l’occupazione dell’Iraq e con tutte le sue ricadute militari, etniche, religiose, politiche, sociali, etc. etc. Altro che costruzione di un nuovo medio Oriente.
Il conflitto israelo/palestinese, la cui positiva risoluzione sarebbe potuta essere “la chiave per la normalizzazione dei rapporti di Israele con gli stati vicini e porre le basi per una reale stabilizzazione della regione in grado di tutelare la sicurezza di tutti” (dalle parole dello stesso D’Alema all’indomani dell’ultima guerra contro il Libano) è finito al contrario per essere esso stesso risucchiato e alla fine totalmente allineato alla logica imperante.
La modalità degli avvenimenti e i risultati finali seguono un cliché pressoché identico e perfino imbarazzante da descrivere nella loro “ripetitiva ovvietà” dall’Afganista, all’Iraq, Libano e ora in Palestina: divisione fisica del territorio manu militari, frammentazione della società prima geograficamente e poi per appartenenze, di clan, religiose, o semplicemente per interessi di potere, armamento politico e concreto delle fazioni ed in fine distruzione dell’unità e della prospettiva nazionale attraverso lo scontro intestino.
Conosciamo bene il lungo, doloroso e contraddittorio svilupparsi del conflitto israelo palestinese ma anche le aperture e le speranze per le quali nessuno, purtroppo, è stato o ha voluto essere all’altezza nel momento decisivo e, anzi, ha operato per la loro liquidazione.
Dopo aver fatto fallire il processo di pace di Oslo con l’uccisione di Rabin e attraverso il rafforzamento dell’occupazione (con gli asfissianti check points, la moltiplicazione degli insediamenti, la costruzione del muro), dopo aver umiliato la leadership palestinese rinchiudendo il suo legittimo Presidente eletto e non riconoscendone mai lo status di interlocutore reale, si è umiliata l’intera popolazione, disconoscendo l’ennesima dimostrazione di “civiltà democratica” pretesa dai palestinesi.
La vittoria elettorale di Hamas costruita sulla frustrazione, la disperazione e la protesta della gente comune, è stata l’occasione per l’interferenza diretta di Israele, Stati Uniti, Unione Europea che, imponendo sanzioni all’occupato e premiando l’occupante trasgressore di decine di risoluzioni internazionali, ha affamato la popolazione ed ha ancor più delegittimato un Autorità Palestinese che, non avendo mai accettato la sconfitta, si è costretta al ruolo di “fiancheggiatore del nemico”, senza per altro guadagnare alcuna concessione sul terreno. In questo modo la divisione è stata ulteriormente alimentata ed armata, fino alle estreme conseguenze delle ultime settimane.
La non risoluzione del problema nazionale/territoriale ha innescato la prospettiva ideologica religiosa, alimentata quotidianamente dalle sirene dell’unità islamica come unica opposizione all’imperialismo americano/israeliano nella regione e la guerra sostenuta da Hezbollah in Libano la scorsa estate ne ha rappresentato un momento cruciale.
La catastrofe oggi è alle porte di molti attori mediorientali, a cominciare da Israele per passare all’Egitto e alla Giordania.
Continuare sulla strada della discriminazione/divisione magari inviando una “forza internazionale” solo a Gaza dopo decenni di dinieghi allorché richiesta dai palestinesi e sempre negata da Israele e Usa, oppure revocando oggi l’embargo solo per Cisgiordania mentre si continua ad affamare Gaza, sarebbe maniacale nella ricerca del peggio. A meno che la strategia perversa dell’apparato militare Usa-israeliano non valuti favorevole una situazione di altissima tensione per l’assestamento di un colpo decisivo a qualcuno dei nemici continuamente indicati come obbiettivi: Libano, Siria, Iran?
La comparsa degli sconosciuti Fatah al Islam nei campi profughi palestinesi in Libano nel momento della costituzione del tribunale Internazionale per l’uccisione di Hariri imputato alla Siria e i razzi “prontamente” sparati sull’alta Galilea non lasciano presagire nulla di buono.
Ciò che è successo a Gaza la scorsa settimana, la fine del sogno palestinese o l’inizio di una storia del tutto inedita, comunque è un vero terremoto politico che non sarà facile controllare, a partire da tutti coloro che in maniera diretta o indiretta vi hanno contribuito.

Roberto Giudici

 

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