CERCA

dal nostro archivio

  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
PDF Stampa E-mail

In Inghilterra

Di Claudio non ho ricordi particolarmente significativi. Ma cosa può esserci di tanto significativo nella vita di due sedicenni da essere ricordato dopo più trent’anni ? Non fosse scontato, retorico e lacrimevole mi risponderei dicendo “la morte”. Però è probabilmente la verità perché il 16 aprile 1975 è una specie di spartiacque: prima ci sono solo fotogrammi sparsi e confusi di episodi tutto sommato un po’ sciocchi, dopo i ricordi diventano più nitidi, precisi e ahimé seri.

Ci siamo conosciuti forse nel 1972 oppure nel ‘73. Siamo poi diventati amici probabilmente per sbaglio perché non avevamo praticamente nulla in comune: lui di Bollate, io di Milano; lui a scuola al Turismo, io al Carducci; lui “faceva politica” in zona Romana, io a Lambrate. Ci accomunava solo la militanza nel Movimento Studentesco prima e nel MLS poi. Manifestazioni, presidi, assemblee cittadine erano occasioni in cui sicuramente ci si incrociava ma non c’era una particolare ragione per cui avremmo dovuto frequentarci al di fuori della “politica”. Allora le amicizie nascevano quasi esclusivamente con quelli con cui “facevi politica” dalla mattina alla sera; un po’ per mancanza di tempo, un po’ per l’orgoglio “settario” del piccolo gruppo ciascuno stava coi “suoi”. Nonostante ciò diventammo amici però oggi non riesco a ricordare perché. Ammesso esistesse un perché.

I primi fotogrammi di quella che non credo fosse già un’amicizia non hanno nemmeno il sonoro: un’assemblea all’aula Crociera della Statale. E’ inverno perché l’abbigliamento è invernale, parliamo ma il film è muto.
Il sonoro arriva uno o due anni dopo con l’estate. Giugno 1974.
Una festa popolare al parco Ravizza. Seduti su due traballanti sedie pieghevoli in un angolo del parco chiacchieriamo di vacanze. Decidiamo di andare insieme in Inghilterra a studiare l’inglese. A Exeter dove io ero già stato, conoscevo la scuola e si poteva risparmiare iscrivendosi direttamente.

Il paesaggio cambia, non è più un parco ma una via di Exeter. Claudio con una giacca a vento blu gioca a fare il torero con Carlos, uno spagnolo che avevamo conosciuto a scuola. Ma prima di arrivare a giocarci assieme c’erano state lunghe discussioni: lo spagnolo era figlio di un medico del dittatore fascista Franco e noi eravamo militanti “in servizio permanente effettivo”; era “politicamente corretto” frequentarlo ? Non eravamo per nulla sicuri lo fosse. Però Carlos era simpatico e soprattutto conosceva delle ragazze spagnole e francesi carine, così decidemmo di far finta di niente e Claudio oltre che a fare il torero cominciò anche a corteggiare una di loro, una francese, Finì che prima di rientrare in Italia andò pure qualche giorno a casa sua in Francia.

Il richiamo della militanza però era troppo forte. La coscienza rimordeva per quella frequentazione un po’ dubbia. L’occasione per ripulirla capitò, guarda la combinazione, proprio in una lavanderia a gettone. Nel maggio di quell’anno Giscard d’Estaing era stato eletto Presidente della Repubblica e a Exeter alcuni francesi giravano indossando delle magliette con scritto “Giscard a la barre”. Tirandola molto per i capelli decidemmo che siccome Giscard d’Estaing era di destra quei francesi con le magliette dovevano esserlo sicuramente di più. E, provocazione intollerabile, due di loro erano entrati nella lavanderia dove noi stavamo facendo il bucato. Fu una scena surreale con lanci di detersivo, cesti di camicie e mutande che volavano e due giscardiani terrorizzati che scappavano doloranti. Oltre alla biancheria anche la coscienza del militante era stata lavata.

A Claudio piaceva un giaccone usato dell’esercito inglese che mi ero comperato l’anno precedente. Lo voleva anche lui. Costava una decina di sterline, quindicimila lire, non tanto ma per lui che si era pagato una parte del soggiorno in Inghilterra lavorando era una somma considerevole. Però gli piaceva. Tanto. Finì che lo comprò. Era quello che indossava il giorno in cui è stato assassinato. Da allora ogni volta che mi capita di guardare la foto in cui con quel giaccone verde giace morto sulle strisce pedonali di piazza Cavour lo rivedo contento mentre se lo infila e si guarda allo specchio nel negozio di surplus militari di Exeter.

L’ultimo fotogramma di quell’estate 1974, l’ultima della sua vita, in realtà non l’ho mai visto, l’ho solo immaginato. Mia mamma che parla al telefono con Claudio. Era il 9 o il 10 di settembre; le vacanze erano già finite, da un pezzo per Claudio, da qualche giorno per me che ero rimasto un altro mese in Inghilterra. Però appena ritornato ero già riuscito a farmi arrestare e finire al Beccaria. Claudio aveva telefonato a mia mamma per tranquillizzarla e rassicurarla. Nessuno gli aveva chiesto di farlo e non era nemmeno compito suo, ci avevano già pensato i compagni della mia zona. Ma lui si era sentito comunque in dovere di farlo.
Per amicizia. Solo per amicizia.

Andrea Giansanti
Milano