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PROCESSI ZIBECCHI

Esiste una fotografia che fissa il momento esatto della morte di Giannino Zibecchi.
Non ci sono dubbi su dove, come e quando  Giannino è morto.
Non ci sono dubbi neppure su chi fosse alla guida del mezzo che lo ha schiacciato.
Credevamo e crediamo che non ci siano dubbi neppure sul perchè Giannino sia morto.
Non sono, queste, condizioni che si ripetono molto spesso nel corso di un'indagine.
Eppure sembra che proprio questa ricchezza di elementi certi sia stata di ostacolo alle indagini. I magistrati non potevano che indagare su carabinieri e polizia, lo Stato.  E lo Stato ha fatto quadrato.L'istruttoria gestita prima da Alessandrini, poi da Galati, durò 4 anni e mezzo.Un'inchiesta che dovette fare i conti con i "non ricordo" di troppi incaricati ad ogni livello dell'Ordine pubblico a Milano; che dovette registrare i progressivi aggiustamenti di versioni ufficiali spesso in contrasto fra loro.
Nei diversi gradi di giudizio, il processo si è progressivamente e rapidamente svuotato. Gli imputati sono usciti di scena.
Nessuno ha pagato per la morte di Giannino Zibecchi.

IL PRIMO PROCESSO

Il processo venne assegnato alla IV sezione del tribunale di Milano (Presidente: Antonio Marcucci, Pubblico ministero: Luigi De Ruggiero).
Furono rinviati a giudizio 3 militari: il carabiniere Sergio Chiarieri, autista del camion che uccise Giannino, il tenente Alberto Gambardella, capo macchina sullo stesso mezzo e il capitano Alberto Gonella, responsabile dell'intera colonna dei mezzi dei carabinieri.
Furono imputati per "in concorso colposo fra loro aver cagionato la morte di Giannino Zibecchi per colpa aggravata dalla previsione dell'evento."
La prima udienza  del processo venne fissata il 15 ottobre 1979.
Gli studenti delle scuole superiori dichiararono sciopero e raggiunsero in corteo il Palazzo di Giustizia.
Il servizio d'ordine fuori e dentro il Tribunale fu assegnato ai carabinieri.
All'epoca ci fù chi considerò questa scelta frutto di "cattivo gusto" e chi, invece ritenne trattarsi di una vera e propria "prova di forza" dell'Arma.
Dopo essere stati perquisiti, controllati, schedati, una trentina di studenti riescì ad entrare nell'aula dove si teneva il processo.
Sulla panca degli imputati vi era il solo Chiarieri.
Alberto Gambardella informò per iscritto la Corte di non poter essere presente perchè impegnato a curare la madre molto malata.
Alberto Gonella inviò un telegramma dal Sud America, dove si era trasferito, sostenendo di essere lui stesso malato, "intossicazione da cibo".
Sia Gambardella, sia Gonella non sono più nell'arma dei Carabinieri.
Nel capo d'imputazione indicato dal Giudice istruttore si può leggere che "la manovra a sfollagente (compiuta dai camion) voluta dal Capitano Gambardella non era giustificata dalla situazione di fatto ed era prevedibilmente pericolosa per l'incolumità di  quanti si trovavano in C.so XXII Marzo".
Il passaggio dei camion in corso XXII marzo venne quindi interpretato come una pericolosa carica sui manifestanti ordinata dal capo colonna.
Nel corso delle udienze processuali risultò invece chiaro che l’ordine e le modalità di manovra all’intera colonna dei carabinieri venne deciso e comunicato prima della partenza dalla caserma Lamarmora, quindi da un ufficiale superiore al capitano Gambardella.
Vennnero interrogati il carabiniere Chiarieri, che guidava il camion che uccise Giannino, il vice Questore, responsabile della piazza, Cosimo Epifani, i generali dei carabinieri, Gastone Cetola e Edoardo Palombi, il colonnello Enzo Ena, vari testimoni oculari e vittime della manovra dei carabinieri (altri manifestanti investiti dagli automezzi dell'Arma su entrambi i lati della strada).
Chiarieri sostenne di essere stato colpito da un oggetto alla testa e giustificò ogni imprecisione o contraddizione del proprio racconto con “lo stato di shock”.
In aula venne fatta ascoltare anche la registrazione della comunicazione radio di Epifani, in corso XXII marzo,  con la Questura: “ …occorre passare attorno attorno con le auto…Con gli automezzi dovete caricare…”
La manovra “a sfollagente” compiuta dalla colonna dei carabinieri (una formazione aperta a V rovesciata con gli ultimi due camion a spazzolare i marciapiedi)  venne comunque accettata come dato certo, al punto che la Corte, a più riprese, ne  riconobbe addirittura la “legittimità” e “conformità alle regole di strategia di intervento in ordine pubblico”.
Per questa ragione, dietro sollecito del Pubblico ministero, che pure si dichiarò “contrario all’assoluzione dei tre imputati”, il 27 ottobre 1979 la Corte rinviò tutti gli atti del processo alla Procura perché compisse una nuova istruttoria che ridefinisse le responsabilità dei tre attuali imputati e considerasse la responsabilità di ufficiali superiori.
La Procura, però, non condivise questa delibera e il 10 gennaio 1980 rimise gli atti alla Corte di Cassazione che, il 14 aprile  successivo, accolse l’opposizione e ritrasmise gli atti al Tribunale perché procedesse nel giudizio.
Il processo venne riassegnato, in un primo tempo, alla stessa IV sezione e successivamente, per “motivi di opportunità” all’VIII sezione penale.
La Procura inviò d’ufficio avvisi di garanzia ai tre ufficiali dei carabinieri superiori al capitano Gonella: i generali Cetola e Palombi e il colonnello Ena, ma ancor prima dell’inizio del nuovo processo, spedì gli atti all’Ufficio Istruzione, chiedendo l’archiviazione del caso.

La prima udienza venne fissata per il 12 novembre 1980.
La Corte era presieduta da Francesco Saverio Borrelli, Pubblico ministero, Giorgio Della Lucia.
Il processo si svolse come se non si fosse mai trattato il caso in un’aula di Tribunale.
Erano imputati sempre e solo i tre carabinieri Chiarieri, Gonella e Gambardella, accusati di aver causato, in concorso colposo tra loro, la morte di Giannino Zibecchi.
Chiarieri (che nel frattempo aveva anch’esso abbandonato l’Arma) confermò la propria versione: "…Mi sentii colpire alla testa, sbandai."
Gonella (che parlava per la prima volta, essendosi presentato al primo processo solo prima della requisitoria), disse: "Non ci fu nessuna carica ma solo un trasferimento di truppe su camion dalla caserma di via Lamarmora a quella di via Fiamma. Nessuno ordinò di caricare: io, comunque, ero a bordo di una camionetta colpita da una molotov e mi allontanai subito dalla colonna.”
Gambardella,  non si presentò neppure questa volta in aula per “impegni di lavoro”.
Il generale Palombi, ascoltato come “teste libero” perché  coinvolto dall’inchiesta stralcio della Procura, sostenne di non aver dato direttive particolari alla colonna di camion. “Mi limitai a richiamare i militari al rigoroso rispetto delle norme nell’uso delle armi” (!)
Anche il generale Cetola negò di aver dato direttive alla colonna “perché fuori dalle mie competenze”.
Entrambi gli ufficiali sostennnero che la colonna era diretta a “proteggere la caserma di via Fiamma, minacciata da un attacco dei manifestanti”, ma in un documento acquisito successivamente dalla Corte, Palombi, scrivendo ai suoi superiori, sostenne che la colonna di mezzi era diretta in via Mancini.
Il giorno 27 novembre 1980 intervenne il Pubblico ministero, Giorgio Della Lucia.
A sorpresa chiese alla Corte di assolvere tutti gli imputati per insufficienza di prove.
Sostenne che Chiarieri condusse il camion sul marciapiede e poi travolse Zibecchi "per un'autonoma reazione riflessa" perchè "in stato confusionale", malgrado i periti in aula avessero escluso che la traiettoria del camion potesse essere compatibile con la guida di un uomo in stato di incoscienza.
Per il Pubblico ministero non esistevano neppure "elementi certi di colpevolezza" per quanto riguarda la carica compiuta con i camion, ed "era impossibile che la carica fosse stata ordinata, perchè il capitano Gonella prese il comando della colonna appena prima di raggiungere via Mancini, in una situazione frenetica."
A sostenere l'accusa rimasero solo gli avvocati di Parte civile che ribadirono che in corso XXII marzo, il 17 aprile 1975 ci fu una carica vera e propria, ordinata da Gonella, ma predisposta dai superiori dello stesso capitano.
Dopo 3 ore e mezza di camera di consiglio, la Corte emise la sentenza: tutti assolti.
I due ufficiali “per non aver commesso il fatto”, Chiarieri “per insufficienza di prove”.
Nella motivazione dellasentenza, il presidente Francesco Saverio Borrelli si esibì in un esercizio di alta acrobazia ultragarantista per sposare ogni possibile ipotesi favorevole ai tre imputati. Un documento che può essere apprezzato solo in una lettura integrale.
Questa sentenza mise praticamente fine al percorso giudiziario del “caso Zibecchi”.
Per norma generale, gli avvocati di parte civile non possono impugnare la sentenza, ma solo costituirsi in un nuovo eventuale processo promosso dal Pubblico ministero o dagli imputati.
Il Pm che aveva chiesto e ottenuto l’assoluzione, non ricorse certo.
I due ufficiali ottennero il massimo che potessero aspettarsi.
Chiarieri si “accontentò” dell’assoluzione per insufficienza di prove.
L’inchiesta stralcio sugli ufficiali superiori dei Carabinieri venne archiviata.
Giannino Zibecchi non ha avuto giustizia. 


                                

 

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