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BLOG - NEWS
Sabato 04 Aprile 2009 20:58
Perché essere antifascisti.


Spiegare perché fossimo antifascisti negli anni ‘70 e perché lo siamo ancora adesso, può sembrare un esercizio di retorica.  Del resto su questo tema si è detto e scritto molto, e da più autorevoli voci. Sulla resistenza antifascista e su come fu istintivamente vissuta, vale la pena ricordare una bellissima pagina de “L’Agnese va a morire” di Renata Viganò:

"Tutti i Natali della sua vita si assomigliavano, erano quieti, bianchi, un po’ tristi: giorni lunghi passati senza lavorare. Faceva anche lei la sfoglia, i dolci: mangiavano in silenzio. Non avevano mai grandi cose da dire. Adesso, invece, potrebbe parlare con Palita. Sapeva molto di più. Capiva quelle che allora chiamava “cose da uomini”, il partito, l’amore per il partito, e che ci si potesse anche far ammazzare per sostenere un’idea bella, nascosta, una forza istintiva, per risolvere tutti gli oscuri perché, che cominciano nei bambini e finiscono nei vecchi quando muoiono. - Perché non posso avere una bambola?-
Perché le ragazze dei signori vanno a ballare con vestito nuovo e io non posso andarci a causa del vestito vecchio? – Perché il mio bambino porta le scarpe solo la domenica? –
Perché mio figlio va a morire in Africa e quello del podestà resta a casa? – Perché non potrò avere un funerale lungo, con i fiori e le candele? – Lei adesso lo sapeva, lo capiva.
I ricchi vogliono essere sempre più ricchi e fare i poveri sempre più poveri, e ignoranti, e umiliati. I ricchi guadagnano nella guerra, e i poveri ci lasciano la pelle. Lei, quando andava per il bucato, i signori del paese la salutavano appena, la lasciavano sulla porta.
E non ci si azzardava a dire niente, per paura di sbagliare, di far ridere, di perdere anche il pane di tutti i giorni. C’era però chi diceva qualche cosa: il partito, i compagni, tanti uomini, tante donne, che non avevano paura di niente. Dicevano che così non poteva andare, che bisognava cambiare il mondo, che è ora di farla finita con la guerra, che tutti devono avere il pane, e non solo il pane, ma anche il resto, e il modo di divertirsi, di essere contenti, di levarsi qualche voglia. I fascisti non volevano, e loro ci si buttavano contro malgrado la prigione e la morte. I fascisti avevano fatto venire in Italia i tedeschi, avevano scelto per amici i più cattivi del mondo, e loro si buttavano anche contro i tedeschi. Ed era tutta gente come Magòn, come Walter, come Tarzan, come il Comandante, gente istruita, che capisce e vuole bene a tutti, non chiede niente per sé e lavora per gli altri quando ne potrebbero fare a meno, e va verso la morte mentre potrebbe avere molto denaro e vivere in pace fino alla vecchiaia. E appena si arriva, dice: - Hai mangiato? Hai bisogno di qualche cosa? – e prima di andare via dice: - Buona notte e buon Natale mamma Agnese.
Questo era il partito, e valeva la pena di farsi ammazzare."

L’antifascismo per l’Agnese era naturale come respirare, mangiare, amare; era l’antifascismo di una contadina della bassa, l’antifascismo di classe.
Per molti di noi, negli  anni '70, richiamarsi alla resistenza fu istintivo, anche senza essere contadini,  e chiamarsi nuova resistenza, quando un po’ increduli, si  assistette e si subì  la ricomparsa dei fascisti con coltelli, pistole, bombe e con la tracotanza di chi sa di essere protetto, fu altrettanto immediato.  Certo i fascisti non ricomparvero per magia o per moda, ma richiamati da un conflitto di classe che da una parte vedeva il movimento operaio sempre più forte e combattivo con al suo fianco gli studenti, stanchi di una scuola bigotta, ipocrita e di classe, e dall’altra i soliti ricchi, quelli che faticano a salutare l’Agnese, affiancati, appunto, dai fascisti,dalla maggioranza silenziosa,dai servizi deviati e dalla CIA. I fascisti ritornarono come se nell’aprile del ‘45 non fosse successo niente, ignorando volutamente che in piazzale Loreto quel giorno non c’erano solo i partigiani ad assistere alla miserevole fine del regime, ma una folla immensa, mossa non solo dalla morbosità, come troppo comodamente si dice, ma dalla necessità vitale di un popolo di finirla definitivamente con il fascismo.

“Non solo la morte, ma anche la pubblica esposizione di Mussolini è fortemente desiderata dalla popolazione e chi rimane estraneo all’umore di molti milanesi di quei giorni non può capirlo. E’ sintomatico in questo contesto l’atteggiamento di Raffaele Cadorna, comandante del CVL. Non appena ha notizia della manifestazione, questi è fortemente deciso a interromperla, ma quando, ancora lontano da piazzale Loreto, un gruppo di donne sostiene che Mussolini è stato ucciso troppo presto e che bisognava portarlo in giro per ricoprirlo di sputi, il generale cominciò a pensare che quella, dopotutto, era la vendetta che il popolo esigeva.” Mirco Dondi – Piazzale Loreto

Sono stati necessari 32 anni perché,finalmente,venissero condannati i fascisti autori della strage di piazza Fontana, 12 dicembre 69. Ma già allora, sui volti di Agnese, Walter, Tarzan, degli operai in piazza Duomo al funerale delle vittime, quella gente sembrava che  comprendesse ogni cosa. Come allora:

“I morti al Largo Augusto non erano cinque soltanto; altri ve n’erano sul marciapiede dirimpetto; e quattro erano sul corso di Porta Vittoria; sette erano nella piazza delle Cinque Giornate, ai piedi del monumento.
Cartelli dicevano dietro ogni fila di morti: passati per le armi. Non dicevano altro, anche i giornali non dicevano altro, e tra i morti c’erano due ragazzi di quindici anni. C’era anche una bambina, c’erano due donne e un vecchio dalla barba bianca. La gente andava per il largo Augusto e il corso di Porta Vittoria sino a piazza delle Cinque Giornate, vedeva i morti al sole su un marciapiede, i morti all’ombra su un altro marciapiede, poi i morti sul corso, i morti sotto il monumento, e non aveva bisogno di sapere altro. Guardava le facce morte, i piedi ignudi, i piedi nelle scarpe, guardava le parole nei cartelli, guardava i teschi con le tibie incrociate sui berretti degli uomini di guardia, e sembrava che comprendesse ogni cosa.”
Elio Vittorini - Uomini e no.

Certo la gente istintivamente aveva compreso, sapeva ma non poteva provarlo.
Con i se non si fa la storia, ma se questo processo si fosse svolto, diciamo nel 1974?
Chissa se anche allora l’avvocato Taormina avrebbe tuonato contro le toghe rosse?
 Invece abbiamo avuto trenta anni di depistaggi, di menzogne, di altre bombe, alcune più chiare, Brescia, altre ancora più bugiarde, Questura di Milano. E negli intervalli qualche pistolettata là, qualche accoltellata qua……..Trenta anni, perché il tempo potesse giocare a loro favore, contando sulla naturale propensione a dimenticare, sulla confusione dei ruoli, gli anni di piombo, poi il riflusso e i pentimenti, la caduta del muro di Berlino, la fine del più grande partito comunista d’Europa: in fondo erano tutte ideologie cattive. Non ha più importanza che la verità alla fine sembra voler trionfare anche nelle aule dei tribunali, perché adesso i morti sono tutti uguali, quindi, anche per i vivi varrà la stessa regola. Perché allora non votare un fascista? “io ho votato Pci tanti anni, ho fatto battaglie sindacali ma alla fine mi sono sentito tradito dai sindacati, l’azienda dove lavoravo ha chiuso ed ora che lavoro in proprio. Credo che valga la pena provare Berlusconi, non sono convintissimo, ma lo voterò” così prima delle elezioni politiche del giugno 2001 si è espresso un nostro un conoscente che vota nel collegio dove viene eletto Ignazio Larussa! E come lui sono stati eletti i Gasparri gli Alemanno e lo stesso Fini.
Il presente ci arriva addosso come un treno che stavamo aspettando sui binari, invece che sulla banchina.

Genova 20 e 21 luglio 2001
Il Global Social Forum  è in piazza, a viso aperto, se vogliamo anche con contraddizioni, errori, ma è la dove puoi vederlo, contarlo, toccarlo.
I fascisti di Alleanza Nazionale sono, finalmente, dove miravano di essere, là dove l’istinto del fascista, non mutato negli anni, può mostrare la sua virilità, se appena hai la compiacenza di essere inerme.

“ …..il Ministro dell’interno……..ha oscillato da una difesa a oltranza della conduzione dell’ordine pubblico dei primi giorni alla successiva falcidia dei vertici della Polizia. Cambiare condotta e rimediare agli errori è comunque segno di intelligenza e flessibilità.
Inflessibili e pervicaci nel difendere a tutto campo l’operato delle forze di Polizia, invece, sono stati i dirigenti di Alleanza Nazionale….Il partito di Fini ha trovato nel law and order….un terreno congeniale…..Un terreno comunque impervio per il quale sono necessarie una esperienza e una sensibilità che mancano ai tanti neofiti di Forza Italia, ma non ad An. Quasi tutti i dirigenti di An, infatti sono di provenienza missina e i tre ministri più giovani (Alemanno, Gasparri e lo stesso Fini) sono stati dirigenti giovanili del Msi negli anni '70……E’ grazie a questo background che Fini ha potuto dare la linea al governo. Il ruolo di An non è stato solo reattivo rispetto agli avvenimenti. C’è anche un prologo che va considerato. Il presidente di An, nei giorni del G8 era infatti presente nelle sedi politico-operative di Genova, laddove doveva essere sufficiente la presenza del Ministro dell’Interno……. In base a questi elementi, quindi, si può presumere che, sfruttando le sue “competenze” e le sue inclinazioni, An intenda presentarsi all’opinione pubblica come l’interprete di una linea dura e disinvolta di “law and order”. Se così è allora riemerge un problema lasciato alquanto in ombra negli ultimi tempi: quello dell’evoluzione postfascista di An. Francamente non ho mai capito su quale base alcuni commentatori non esitino a tacciare di contiguità con il passato comunista i diessini (dopo più di dieci anni) e facciano ogni credito ad An dopo sei anni……dalla rivalutazione del podestà di Trieste degli anni della deportazione degli ebrei nella Risiera di San Sabba, da parte del neo assessore alla cultura Menia, alla infelice battuta del ministro Gasparri sulle violenze alla caserma Bolzaneto “quanto chiasso per quattro manganellate”. In nessun paese europeo viene consentito a un rappresentante del Governo irridere alle violazioni dei diritti fondamentali dei cittadini……….”.
Piero Ignazi – Il sole 24ore venerdì 10 agosto 2001.

Abbiamo un compito: colmare quella voragine di memoria che sono stati gli anni '80 e '90 perché questa nuova generazione di contestatori sappia, possibilmente non sulla propria pelle, con chi avranno a che fare. E’ doloroso dirlo, ma credo che molti di noi non si siano stupiti, delle testimonianze riportate dalla caserma di Bolzaneto “ canta viva il Duce ecc.”, disillusi, forse, ma non stupiti.
Giorgio Bocca su la Repubblica del 29 luglio 2001 in un lungo articolo dal titolo le molte anime di un regime, scrive: “ma che tale sia la scuola di quasi tutti i reparti speciali di polizia è una amara sorpresa, è la dimostrazione che l’autonomia degli apparati polizieschi, il loro restare autoritari in uno Stato democratico, è stata non solo tollerata ma voluta, che nella nostra democrazia ci sono poliziotti addestrati come dei pitbull feroci. Non chiamatelo fascismo ma quante somiglianze.”

Atti come questi della caserma Bolzaneto non hanno tempo, come non hanno tempo lo stupro di Franca Rame un eclatante esempio di virile viltà, e le centinaia di assassinii nelle piazze di tutta Italia dal dopo guerra ad oggi, una volta dai fascisti l’altra dalla polizia o carabinieri e l’altra ancora dai mafiosi, come a volere tracciare un filo di continuità con il passato ventennio. Non hanno tempo ma una sola firma.
Non sarà il fascismo, ma come definirli se non fascisti?
I fatti di Genova hanno tra l’altro riportato a galla un'altra questione non chiusa e cruciale della storia istituzionale italiana: l’impunibilità della polizia nel campo dell’ordine pubblico.
Sotto il fascismo non era possibile procedere contro la polizia. In teoria questo stato di cose sarebbe dovuto cambiare dopo la creazione della Repubblica Italiana alla fine della guerra. In Europa, almeno in quei paesi dove la destra non è fascista, molti commentatori si chiedono quali siano le probabilità di rendere giustizia a coloro che sono stati feriti e, come nel caso di Giuliani, uccisi. Vedremo. Nel frattempo siamo costretti a registrare i seguenti dati: fino al 1960 sebbene 94 cittadini fossero stati uccisi durante scioperi o manifestazioni di protesta e 400 avessero subito ferite da arma da fuoco, nessun poliziotto o carabiniere fu mai portato in tribunale.
Lo sdegno suscitato dalle uccisioni di Reggio Emilia nel 1960 indusse il tribunale di Bologna ad aprire un procedimento giudiziario nei confronti di due ufficiali di polizia poi assolti malgrado la schiacciante evidenza a loro carico. Con Zibecchi possiamo leggere qui sul sito come andò.
 “In 50 anni” come, ebbe a dire Antonio Tabucchi in una lettera indirizzata a Ciampi il 19 aprile 2001 e pubblicata sul Le monde, “si potrebbe dire che l’Italia è una Repubblica fondata sui massacri ".

I compagni e gli amici di allora e di sempre

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